Storia delle indagini recenti

a cura di M.T. Guaitoli

Fotografia del capitello corinzio italico conservato all'interno della chiesa

L’occasione per l’ indagine archeologica è stato il recupero del complesso di S. Giovanni in Monte, effettuata in due momenti diversi: il primo è correlato al restauro funzionale e condotto a cura della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna (SBAER), con la conduzione scientifica del Dr. Jacopo Ortalli e della Dr.ssa Renata Curina, che ha interessato alcune aree riconoscibili nel c.d. "Cortile della Palma" e il chiostro Grande, tra gli anni 1994-1996. I saggi praticati - al di là dell’intervento archeologico vero e proprio - sono stati oggetto anche di ricerche geomorfologiche, geofisiche e geoarcheologiche, che hanno confermato la componente artificiale del riporto sul quale sorge il Complesso.

La seconda area interessata dagli scavi archeologici (non in senso estensivo orizzontale, ma secondo saggi programmati), è stata effettuata in un’altra sezione del convento, quella del cortile antistante l’attuale foresteria (Collegio Erasmus). L’intervento archeologico - realizzato fra il 1999 e il 2000 - è legato alla realizzazione di un parcheggio sotterraneo funzionale alla struttura, che ha coinvolto i due Enti, la Soprintendenza per i Beni archeologici dell’Emilia Romagna e l’allora Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna (UNIBO) (oggi Dipartimento di Storia, Culture, Civiltà), con la direzione congiunta del funzionario responsabile (Dr. Jacopo Ortalli), il direttore del Dipartimento: Prof. Giuseppe Sassatelli coordinato dal Prof. Sandro De Maria, e la responsabilità scientifica e conduzione dei lavori da parte della Dr.ssa Renata Curina (SBAER) e la Dr.ssa Maria Teresa Guaitoli (UNIBO).

Ulteriori ricerche sono state effettuate nel settore Ovest del Complesso, nella zona del piano seminterrato, in corrispondenza con un tratto di via De’ Chiari. In quello che è stato soprannominato "rudere", sono emerse diverse sequenze di stratificazioni murarie, testimonianza di una differenziata occupazione urbanistica, che si è succeduta nel corso dei secoli, almeno fra l’XI e il XV secolo, sull’area esterna - acquisita definitivamente dai Canonici Lateranensi tra il 1439 e il 1452, quando viene edificato l’attuale muro di cinta che si affaccia su via de’ Chiari. Questi lacerti murari documentano le fasi di occupazione dell’area prima della sistemazione definitiva del complesso, oggi ben visibile, secondo il progetto rinascimentale realizzato dall’architetto Antonio Morandi che, insieme al fratello, era noto con il nome di "Terribilia".

Fondamentale per una prima ricostruzione della stratificazione e sovrapposizione dei diversi edifici, le acquisizioni, gli ampliamenti e le diverse funzioni attribuite ai locali del Complesso ancora in uso, è stato il confronto con le diverse fonti tradizionali (paleografiche, storiche, iconografiche, archivistiche); le nuove tecnologie messe a disposizione della ricerca hanno permesso di integrare i dati già noti attraverso l’utilizzo di particolari sistemi di rilevamento (geofisico, satellitare, geomorfologico), che permettono di acquisire, integrare e completare un quadro che non avrebbe avuto modo di generare ulteriori spunti di ricerca, solo se legato ad un approccio di studio e di ricerca tradizionale.

Scopo del progetto pertanto è stato quello di verificare i dati acquisiti e noti attraverso sistemi e indagini di tipo tradizionale, nel confronto con altri campi di ricerca, in modo da accrescere conoscenze e, soprattutto, metodologie di approccio alla ricerca archeologica, che costituiscono un aspetto applicativo e funzionale, in particolare in rapporto alla didattica. Inoltre, la possibilità per un’ampia utenza di accedere e fruire direttamente a questi dati, costituisce uno degli scopi del progetto.