Come in un "fermo immagine" cinematografico, le fonti del secolo XVIII fotografano una situazione che era sul punto di cambiare radicalmente. Non abbiamo notizia di lavori importanti di costruzione o di modifica del complesso architettonico: sappiamo solo che la colonna con croce che campeggiava nella piazza (ce la mostra l’incisione di Pio Panfili) alla fine del secolo venne spostata, finché si perse nelle trasformazioni seguenti. Il chiostro alla rustica si imponeva come un esempio di architettura ancora di moda, tanto da venire proposto all’ammirazione delle persone colte attraverso l’incisione che ne fece Giovanni Antonio Landi; il complesso conventuale era ormai giunto al suo massimo splendore e alla sua massima ampiezza.
Ma i tempi stavano radicalmente cambiando e il nuovo governo ugualitario e borghese nato all’arrivo di Napoleone nel 1796 soppresse i conventi e monasteri che contavano scarsi abitanti, incamerando nel Demanio i beni. I vasti locali di S. Giovanni in Monte furono riservati ad uso pubblico e adibiti da subito a carcere: per due secoli, fino al restauro e alla riapertura del 1996, le stanze, i cortili e i chiostri furono preclusi a qualunque conoscenza e frequentazione da parte dei cittadini, tanto che nella parlata comune augurare a qualcuno di finire a S. Giovanni in Monte equivaleva ad augurargli di essere incarcerato.